BIODANZA
Un Sistema di Integrazione Umana




BIODANZA – Un Sistema di Integrazione Umana: IDENTITA’ NELLA PERSONA CON PATOLOGIA ALZHEIMER
Identità nella persona malata di Alzheimer
Nel malato di Alzheimer immagine corporea e Identità risultano deteriorate poiché, essendo il Sé un prodotto del funzionamento cerebrale, un processo degenerativo e irreversibile dei neuroni rende labili e fragili i confini della personalità.
COMPRENSIONE PSICODINAMICA DELL’ALZHEIMER GRAVE
Il Sé è un prodotto del funzionamento cerebrale, un danno al tessuto cerebrale può provocare quindi alterazioni significative sul senso d’identità. Tali alterazioni colpiscono profondamente la personalità del paziente poiché deteriorano la capacità di interpretare il significato degli stimoli e di correlarli a sentimenti rilevanti (Gabbard 2002).
Ciò genera una sostanziale incapacità di controllare le risposte emotive, sia per la difficoltà di dare un giusto significato a ciò che accade sia per un deficit di inibizione corticale delle strutture del cervello limbico (Bressan 2006).
La continuità del Sé dipende in larga misura dalla capacità di ricordare e, quando anche i ricordi remoti svaniscono col progredire della malattia, anche l’identità del paziente comincia a scomparire.
Il disorientamento nel tempo, tipico già dei primi stadi della malattia, porta all’impossibilità di costruire in base all’esperienza e ciò rimanda alla rottura di continuità dell’esperienza descritta da T. Odgen (1992) nella modalità schizo-paranoidea, da cui la sensazione angosciosa che ne deriva “uno sfondo pressoché costante di angoscia che deriva dal fatto che l’individuo si sente inconsciamente sempre abitante di un paese sconosciuto, alla mercé di imprevedibili esperienze estranee”.
La stessa modalità di simbolizzazione della modalità schizo-paranoidea, l’equazione simbolica, sembra altrettanto adeguata per descrivere l’incapacità del malato di Alzheimer di comprendere il linguaggio metaforico e le immagini simboliche.
Analogamente a questa modalità di esperienza, il malato di Alzheimer si trova nella condizione di esperire un eterno presente dove la formazione di una coscienza storica è resa impossibile dalla condizione patologica organica. Le relazioni oggettuali sono instabili e fragili sia perché manca una stabile e condivisa esperienza storica sia perché i deficit mnesici, di astrazione e di deduzione determinano l’incapacità di strutturare oggetti interni validi e consolatori e di fare ricorso a quelli interiorizzati in condizione di sanità. La perdita di memoria può quindi essere associata con la perdita di un introietto rassicurante, con il ritorno di ansie esistenziali primarie.
Da un punto di vista psicodinamico la perdita delle facoltà mentali dovuta a una demenza progressiva corrisponde a un processo regressivo all’interno dell’Io, a causa del quale i meccanismi di difesa più maturi lasciano il posto a modalità di difesa più primitive come proiezione e diniego, poiché le difese di livello più elevato vengono sostituite da un assorbimento sul Sé. Gli accessi aggressivi sono spiegati da Goldstein (1952) analizzando e comparando le reazioni psicologiche dei pazienti con danno cerebrale, per i quali viene descritto uno stato ansioso denominato reazione catastrofica.
Tale reazione deriva dalla profonda rabbia causata dalla consapevolezza della perdita del funzionamento cognitivo, responsabile dei fallimenti nello svolgimento di compiti abituali prima della malattia. La reazione catastrofica che porta i pazienti a limitare la propria vita, difendendosi così dall’ansia catastrofica evitando la consapevolezza dei propri deficit.
Vigorelli (2008) individua nell’auto-limitazione della vita del paziente AD[1] un danno aggiuntivo definibile eccesso di disabilità, a causa del quale il paziente temendo l’errore (il fallimento) sceglie di non utilizzare una competenza residua provocandosi un danno aggiuntivo, ossia la perdita totale di tale competenza e la conseguente riduzione dell’autonomia.
Il concetto di ansia catastrofica introduce il tema della coscienza di malattia del paziente AD, tema trascurato fino a qualche decina di anni fa quando la non consapevolezza del proprio stato era considerata una caratteristica dei pazienti AD.
I pazienti Alzheimer si accorgono invece dei loro disturbi e, non riuscendo a darsene una spiegazione, hanno spesso una reazione depressiva. In molti di essi, infatti, mentre si deteriorano le facoltà mentali la consapevolezza di Sé può rimanere intatta. Poiché la memoria recente viene perduta prima di quella remota accade che questi pazienti conservino un ricordo vivo di “com’erano”, rendendo la loro patologia ancora più emotivamente disturbante.
[1] AD= Alzheimer’s Disease (trad. Malattia di Alzheimer)
L’IMMAGINE CORPOREA PERDUTA
Lo sviluppo della mente procede gradualmente nella direzione soma-psiche, quindi, l’acquisizione mentale del Sé corporeo, porta alla definizione dell’organizzazione mentale di base.
In altre parole, la formazione dell’identità, è un processo parallelo alla formazione dell’immagine corporea. Tale teoria della genesi sensoriale della psiche è stata elaborata da più autori, tra i quali, Greenacre, Gaddini e Corominas (Cauzer et al. 1998). I fenomeni dispercettivi del paziente AD concorrono a inficiare questa capacità di costituire un’esperienza del corpo mutevole e trasformativa, indispensabile per mantenere stabile l’equilibrio psiche-soma.
Schilder (1973) sottolinea la rilevanza della relazione che il soggetto intrattiene con il suo stesso corpo, ma il corpo del paziente AD è spesso un corpo rifiutato, nel quale il paziente non si riconosce. Il malato di Alzheimer non riconosce più l’immagine che lo specchio gli rimanda, così tale relazione risulta deteriorata.
L’immagine del corpo trae la sua struttura anche da un continuo contatto con il mondo, ma la natura autistica delle relazioni del paziente AD, rende questo contatto difficile e discontinuo.
Milner (1969) e Bollas (1989) sottolineano come “il lavoro di elaborazione dei fenomeni corporei richieda una base sicura”; nel paziente AD è però nota l’impossibilità di riconnettersi con gli oggetti interni per cui la base sicura risulta perduta e con essa la capacità di elaborare l’immagine di Sé.
La difficoltà a stabilire e a ricontattare le relazioni d’oggetto, fondamentali nei processi di costruzione dell’immagine corporea, spiegano quindi l’estrema fragilità del senso di Sé del malato di Alzheimer.
L’IMPORTANZA DEL CORPO NEL PAZIENTE ALZHEIMER
Il corpo, e il suo linguaggio, sono fondamentali per il paziente AD il quale si trova in una dimensione di predominio del processo primario, dove le emozioni vengono espresse quasi tutte mediante reazioni del corpo.
Il deterioramento cognitivo porta infatti in una situazione nella quale l’espressione emotiva attraverso la psiche viene sostituita con l’espressione fisica delle emozioni, secondo una linea regressiva dello sviluppo acquisito.
Evolutivamente, nell’epoca dello sviluppo del processo secondario, si verificano importanti progressi nel controllo del corpo, con il rafforzamento della muscolatura e degli sfinteri: nell’anziano, cognitivamente deteriorato, il controllo sfinterico scompare, riportando la persona allo stato di dipendenza e relativa impotenza tipico dell’epoca in cui domina il processo primario.
Il pensiero deteriorato non è più in grado di svolgere la funzione mediatrice rispetto allo stress derivante dall’esterno e la stessa organizzazione difensiva viene influenzata dalle misure fisiche di controllo e dai disturbi fisici, che coinvolgono quindi il corpo prima di tutto.
Nell’epoca di predominio del processo primario la difesa più primitiva è il ritrarsi, che si attua a livello fisiologico traducendosi in “sensazioni di fatica e avversione per ogni attività permessa dallo sviluppo neuromuscolare” (Greenacre 1998).
Il parallelo con la situazione senile risulta chiaro osservando come nell’anziano si assista, oltre al fisiologico processo degenerativo muscolare, un processo strettamente psicologico che lo ricolloca agli stadi primari del processo evolutivo nei quali la centralità del corpo è assoluta.
Concetto di Identita’ in Biodanza
Amo la definizione che dice che l’identità è dalla pelle in dentro e che non esiste identità senza alterità.
- L’identità si manifesta attraverso l’interazione con l’altro, dove “altro” sta ad intendere “altro da me”. L’identità esiste nel mondo nella relazione. Le identità hanno una forma. Le identità precipitano nei corpi.
- L’identità ha una forma strutturata e ristrutturante, cioè può cambiare e trasformare l’ambiente e sé stessa.
- L’identità è la possibilità di esistere, è la capacità di integrare sé stessi e sé stessi nel mondo e ha la grande capacità di potersi trasformare e trasformare il mondo intorno.
- L’identità la possiamo vedere attraverso gli stati della coscienza quindi attraverso la fenomenologia: è nel continuum Identità-Regressione[1] che è possibile osservarla.
In Biodanza, lavorando con il movimento e la musica possiamo agire sugli stati di coscienza; essere capaci di “ALTERARSI[2]“, di fondermi con l’altro. É il continuum che Rolando Toro indica nel suo Modello Teorico.
Gli stati di coscienza non sono cognitivi ma si trasformano attraverso i gesti, una carezza, un incontro. L’essere umano è infinito ma finito allo stesso tempo, dove il desiderio è infinito ma per realizzare i desideri c’è bisogno dell’altro.
- IO è finito.
- IO e TU è scambio, infinito, apertura.
Non è possibile mettersi nei panni dell’altro ma ACCOGLIERE e OSPITARE l’altro: non è possibile conoscerlo perché è infinito. La Biodanza è un metodo che offre esperienze come quella dell’ incontro e di Vivencia in un ambiente arricchito e sicuro.
Rolando Toro parla di Identità Individuale nel senso di Unicità e non di personalità, che invece è un concetto legato alla società, alla nostra cultura e quindi assomiglia più ad un concetto di maschera che è nella sfera dell’ autoimmagine. La personalità così intesa ha a che fare con un ruolo, ha a che fare con l’ego.
L’ integrazione è un sistema non è un insieme; la Vivencia è integrazione tra ambiente sentito e ambiente pensato.
L’Identità infatti non è un aspetto della personalità, ma appartiene all’umore endogeno, è viscerale. L’Identità è biologica. Per integrazione d’Identità Rolando Toro intendeva il cercare di integrare (tensione all’ integrazione) questi elementi, il biologico con la cultura, tutti i potenziali umani, per aumentare il livello qualitativo delle nostre esperienze nella vita.
Attraverso la Vivencia, si tende a porre attenzione al sentire di più il corpo e ciò aumenta l’autostima. Viceversa, il pensare il corpo, nutre il concetto di autoimmagine.
Arrivare a percepire ciò che fa stare bene e dà piacere – dove il piacere organizza la nostra identità e non è un modello esterno, cioè che viene da fuori, bensì è soggettivo e viene da dentro di noi – mette nella condizione di poter scegliere, e la scelta appartiene ad una identità sana.
[1] Con il termine “regressione” Rolando Toro intende un “tornare indietro” integrato e in salute
[2] Alterazione è la capacità di fondermi con l’alterità